No alla violenza senza sé e senza ma. Guai ai violenti. Dissociazione
dalla violenza e dai violenti. Condanna della violenza. Marginalizzazione dei violenti.
Di fronte alla violenza le condanne (verbali) non mancano mai. Eppure
la violenza sembra essere sempre più una
presenza costante nelle nostre vite: giornali, televisione, politici, ne
parlano in continuazione. Tutti si dichiarano contro la violenza. Tutti fanno a
gara nel chiedere di isolare i presunti violenti.
La violenza sull’individuo è deprecabile e perseguibile per legge, non
accettabile dalla comunità civile in quanto violazione dei principi fondamentali di tutela della
persona umana.
Nessuno però sembra domandarsi perché esiste tutta questa violenza, posta in essere e in potenza. Tutte le violenze sono uguali? Hanno lo stesso valore e
sono ugualmente meritevoli della stessa condanna?
Sembrerebbe di no.
Facile da interpretare quando viene commessa nei confronti di una
donna o di un infante (sia essa violenza fisica, tortura o uccisione): le ragioni
irrazionali che spingono il colpevole a compiere simili abominevoli atti sono
da ricercare nei torbidi meandri della psiche e/o in ambiti culturali e
sociali.
Quando si tratta di guerra la violenza è talmente implicita che non
necessita di particolari precisazioni. La storia invece ci insegna che le
motivazioni che inducono alla guerra sono meno esplicite e più contraddittorie.
Nelle ultime settimane abbiamo avuto, con il caso della Siria, l’ennesima
dimostrazione di quante ipocrisie si muovano intorno a una guerra. Se in Siria
il regime stermina la popolazione a colpi di fucilate sono questioni interne e
la comunità internazionale si sdegna ma resta alla finestra. Se Assad usa il
gas (ammesso e non concesso che lo abbia veramente fatto) allora non è
accettabile perché usa un’arma di distruzione di massa. Ne consegue che: se
stermini gli oppositori in massa con pistole, fucili, mitra, carri armati,
nessuno se la prenderà più di tanto. Se lo fai con dei gas (magari per far
prima) i paesi “evoluti” insorgono.
Gli stermini in giro per il mondo commessi in “sordina” e
senza risalto (e preoccupazione) da parte della comunità internazionale non si
contano. Ce ne preoccupiamo quando veniamo direttamente toccati nel momento in
cui gli oppressi, abbandonati a se stessi, vengono psicologicamente infarciti
di idiozie spacciate per religione e si trasformano in fanatici integralisti
disposti a morire (e a uccidere migliaia di altre persone) in nome di un
qualche Dio improponibile al raziocinio.
Vi è un altro tipo di violenza
cui il nostro paese non è storicamente estraneo: la violenza politica.
Tralasciando i delitti commessi al tempo del fascimo, quelli per mafia
o per intrecci massonici ed economici, quelli che ci risultano più famigliari a
memoria d’uomo sono quelli attuati nel periodo del terrorismo.
Una pagina buia
della nostra storia recente. Ferite mai completamente marginate.
Ma la violenza politica è anche, nel nostro paese, violenza e crimine
di Stato (o parti dello Stato): le innumerevoli stragi, le strategie della
tensione volte a insinuare la paura e il terrore nei cittadini per indurli ad
accettare, quando non chiedere, leggi speciali con le quali si finisce
inevitabilmente per limitare le libertà personali e politiche.
Proprio per questo risulta
odioso l’accostamento tra la stagione dolorosa del terrorismo e accadimenti
recenti che hanno un’origine politica ma spirito e contenuti ben diversi.
La lotta NoTav della Val Susa ne è un esempio eclatante.
In questi ultimi anni le cronache ci hanno sottoposto casi in cui le
FFdOO hanno travalicato i loro compiti istituzionali e sono venute meno a
quella condizione di difesa del cittadino cui questo fa riferimento per la
propria difesa ed incolumità.
I casi di giovani morti dopo l'arresto per aver subito violenze (per i casi
accertati) e quelli deceduti in circostanze ben poco chiare sono una macchia oscura
che quanti operano nelle FFdOO, e credono nel loro mestiere, si dovrebbero
adoperare per consentire venga fatta piena luce su questi fatti e per allontanare
i colpevoli che non meritano di essere protetti.
Gli eventi ben noti di Genova costituiscono una chiave di svolta nella
violenza politica di Stato nel nostro paese. E’ chiaro che all’interno delle
istituzioni agiscono soggetti che usano la violenza come strumento di
repressione del dissenso e godono di chiara protezione politica.
L’occupazione militare della Val di Susa con ingenti mezzi e personale
delle FFdOO costiuisce una forzatura, un’aggressione volta a contrastare non
già atti di presunta “violenza” dei singoli attivisti ma l’idea ed il
principio stesso della contestazione di una moltitudine di cittadini che si
oppongono al sistema vigente.
I filmati che mostrano agenti che tirano pietre dal cavalcavia
dell’autostrada, che picchiano con bastoni (non i manganelli di ordinanza) militanti inermi e
trascinano dimostranti insanguinati dovrebbero insegnare qualche cosa a certi
intellettuali ma costoro si guardano bene dal prendere coscienza di questi atti
criminosi documentati.
Per me cresciuto in una famiglia antifascista, con un nonno carabiniere
e con l’insegnamento del rispetto per le FFdOO certe immagini sono davvero
dolorose.
Il mondo No Tav nasce e si sviluppa come pacifica contestazione, nella
ricerca del dialogo con le istituzioni per impedire l’ennesima cattedrale nel
deserto sulle spalle dei cittadini italiani viventi e futuri.
Perché,
bisognerebbe allora domandarsi, oggi stiamo discutendo di presunte azioni
“violente” da parte dei NoTav?
Nel paese delle condanne morali a buon mercato pochi si pongono la
domanda e cercano la risposta.
Non ho molte certezze in questa vita ma una convinzione ce l’ho: il
terreno su cui cresce e prospera la violenza politica è la menzogna; sia essa
ideologica o promossa dallo Stato per mantenere il potere o da gruppi
economici per coltivare i propri interessi.
Qui, in Val di Susa, di menzogna c’è ne tanta.
Se la lotta NoTav è passata ad un livello successivo con azioni di
boicottaggio, che significa produrre danni alle cose e mai alle persone o
animali, non è un caso, né un capriccio, né un desiderio di violenza.
Affrettarsi a condannare senza capire il clima creato dallo Stato in Val di
Susa è opera retorica senza sostanza, affabulazione di protagonismo da prime
donne. Cimentarsi nel capire le complesse ragioni che inducono un’intera
popolazione (tranne pochi) a lottare contro un’opera inutile sarebbe un dovere
intellettuale.
Resta poi da capire, e speriamo ce lo svelino le indagini, quali
azioni di boicottaggio sono state davvero compiute dai No Tav (ad oggi essi non
ne hanno rivendicata nessuna) e quante altre invece abbiano altre finalità di
cui è lecito dubitare.
Le condanne pret-a-porter servono allo Stato (per mezzo della Procura)
per alzare il tiro contro la contestazione NoTav spostando l’attenzione
mediatica dai fatti economici e politici connessi con la Tav a paragoni
impropri come quelli con il terrorismo. Ciò rappresenta non solo un’infamia nei
confronti del movimento cercando di eludere le ragioni di un dibattito e di un
confronto politico (che sarebbe per i sostenitori perdente) ma anche un’offesa
alla memoria storica di questo paese e a quanti hanno sofferto duramente per
causa degli anni di piombo.
La lotta No Tav “deve” essere estirpata perché rappresenta un pessimo
esempio per altre realtà (vedi per esempio i No Muos); per tutti i casi in cui
i cittadini si riappropriano della propria identità civile e si armano di
passione democratica per contrastare interessi economici che vorrebbero
renderli succubi.
La stessa definizione di NIMBY (Not in my backyrd: non nel mio
giardino) appioppata a chi contesta è lo strumento psicologico con cui
denigrare chi si oppone, deviando l’attenzione dal dibattito e dall’oggetto
della contestazione nel campo generico ed improprio della psicologia
screditando il “ribelle” come uno che contesta “a prescindere” da fatti
razionali.
La prossima volta che ascoltate qualcuno condannare la violenza
domandatevi se è consapevole di tutto questo e quali finalità persegue.
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