venerdì 20 settembre 2013

La retorica intellettuale sulla violenza No Tav

No alla violenza senza sé e senza ma. Guai ai violenti. Dissociazione dalla violenza e dai violenti. Condanna della violenza. Marginalizzazione dei violenti.

Di fronte alla violenza le condanne (verbali) non mancano mai. Eppure la violenza sembra essere  sempre più una presenza costante nelle nostre vite: giornali, televisione, politici, ne parlano in continuazione. Tutti si dichiarano contro la violenza. Tutti fanno a gara nel chiedere di isolare i presunti violenti.

La violenza sull’individuo è deprecabile e perseguibile per legge, non accettabile dalla comunità civile in quanto violazione dei principi fondamentali di tutela della persona umana.
Nessuno però sembra domandarsi perché esiste tutta questa violenza, posta in essere e in potenza. Tutte le violenze sono uguali? Hanno lo stesso valore e sono ugualmente meritevoli della stessa condanna? 

Sembrerebbe di no.


Facile da interpretare quando viene commessa nei confronti di una donna o di un infante (sia essa violenza fisica, tortura o uccisione): le ragioni irrazionali che spingono il colpevole a compiere simili abominevoli atti sono da ricercare nei torbidi meandri della psiche e/o in ambiti culturali e sociali.

Quando si tratta di guerra la violenza è talmente implicita che non necessita di particolari precisazioni. La storia invece ci insegna che le motivazioni che inducono alla guerra sono meno esplicite e più contraddittorie. Nelle ultime settimane abbiamo avuto, con il caso della Siria, l’ennesima dimostrazione di quante ipocrisie si muovano intorno a una guerra. Se in Siria il regime stermina la popolazione a colpi di fucilate sono questioni interne e la comunità internazionale si sdegna ma resta alla finestra. Se Assad usa il gas (ammesso e non concesso che lo abbia veramente fatto) allora non è accettabile perché usa un’arma di distruzione di massa. Ne consegue che: se stermini gli oppositori in massa con pistole, fucili, mitra, carri armati, nessuno se la prenderà più di tanto. Se lo fai con dei gas (magari per far prima) i paesi “evoluti” insorgono.

Gli stermini in giro per il mondo commessi in “sordina” e senza risalto (e preoccupazione) da parte della comunità internazionale non si contano. Ce ne preoccupiamo quando veniamo direttamente toccati nel momento in cui gli oppressi, abbandonati a se stessi, vengono psicologicamente infarciti di idiozie spacciate per religione e si trasformano in fanatici integralisti disposti a morire (e a uccidere migliaia di altre persone) in nome di un qualche Dio improponibile al raziocinio.

Vi è un altro tipo di violenza cui il nostro paese non è storicamente estraneo: la violenza politica.
Tralasciando i delitti commessi al tempo del fascimo, quelli per mafia o per intrecci massonici ed economici, quelli che ci risultano più famigliari a memoria d’uomo sono quelli attuati nel periodo del terrorismo. 
Una pagina buia della nostra storia recente. Ferite mai completamente marginate.
Ma la violenza politica è anche, nel nostro paese, violenza e crimine di Stato (o parti dello Stato): le innumerevoli stragi, le strategie della tensione volte a insinuare la paura e il terrore nei cittadini per indurli ad accettare, quando non chiedere, leggi speciali con le quali si finisce inevitabilmente per limitare le libertà personali e politiche.

Proprio per questo risulta odioso l’accostamento tra la stagione dolorosa del terrorismo e accadimenti recenti che hanno un’origine politica ma spirito e contenuti ben diversi.

La lotta NoTav della Val Susa ne è un esempio eclatante.

In questi ultimi anni le cronache ci hanno sottoposto casi in cui le FFdOO hanno travalicato i loro compiti istituzionali e sono venute meno a quella condizione di difesa del cittadino cui questo fa riferimento per la propria difesa ed incolumità.
I casi di giovani morti dopo l'arresto per aver subito violenze (per i casi accertati) e quelli deceduti in circostanze ben poco chiare sono una macchia oscura che quanti operano nelle FFdOO, e credono nel loro mestiere, si dovrebbero adoperare per consentire venga fatta piena luce su questi fatti e per allontanare i colpevoli che non meritano di essere protetti.

Gli eventi ben noti di Genova costituiscono una chiave di svolta nella violenza politica di Stato nel nostro paese. E’ chiaro che all’interno delle istituzioni agiscono soggetti che usano la violenza come strumento di repressione del dissenso e godono di chiara protezione politica.

L’occupazione militare della Val di Susa con ingenti mezzi e personale delle FFdOO costiuisce una forzatura, un’aggressione volta a contrastare non già atti di presunta “violenza” dei singoli attivisti ma l’idea ed il principio stesso della contestazione di una moltitudine di cittadini che si oppongono al sistema vigente.
I filmati che mostrano agenti che tirano pietre dal cavalcavia dell’autostrada, che picchiano con bastoni (non i manganelli di ordinanza) militanti inermi e trascinano dimostranti insanguinati dovrebbero insegnare qualche cosa a certi intellettuali ma costoro si guardano bene dal prendere coscienza di questi atti criminosi documentati.

Per me cresciuto in una famiglia antifascista, con un nonno carabiniere e con l’insegnamento del rispetto per le FFdOO certe immagini sono davvero dolorose.

Il mondo No Tav nasce e si sviluppa come pacifica contestazione, nella ricerca del dialogo con le istituzioni per impedire l’ennesima cattedrale nel deserto sulle spalle dei cittadini italiani viventi e futuri. 
Perché, bisognerebbe allora domandarsi, oggi stiamo discutendo di presunte azioni “violente” da parte dei NoTav?

Nel paese delle condanne morali a buon mercato pochi si pongono la domanda e cercano la risposta.
Non ho molte certezze in questa vita ma una convinzione ce l’ho: il terreno su cui cresce e prospera la violenza politica è la menzogna; sia essa ideologica o promossa dallo Stato per mantenere il potere o  da gruppi economici per coltivare i propri interessi.

Qui, in Val di Susa, di menzogna c’è ne tanta.

Se la lotta NoTav è passata ad un livello successivo con azioni di boicottaggio, che significa produrre danni alle cose e mai alle persone o animali, non è un caso, né un capriccio, né un desiderio di violenza. Affrettarsi a condannare senza capire il clima creato dallo Stato in Val di Susa è opera retorica senza sostanza, affabulazione di protagonismo da prime donne. Cimentarsi nel capire le complesse ragioni che inducono un’intera popolazione (tranne pochi) a lottare contro un’opera inutile sarebbe un dovere intellettuale.

Resta poi da capire, e speriamo ce lo svelino le indagini, quali azioni di boicottaggio sono state davvero compiute dai No Tav (ad oggi essi non ne hanno rivendicata nessuna) e quante altre invece abbiano altre finalità di cui è lecito dubitare.

Le condanne pret-a-porter servono allo Stato (per mezzo della Procura) per alzare il tiro contro la contestazione NoTav spostando l’attenzione mediatica dai fatti economici e politici connessi con la Tav a paragoni impropri come quelli con il terrorismo. Ciò rappresenta non solo un’infamia nei confronti del movimento cercando di eludere le ragioni di un dibattito e di un confronto politico (che sarebbe per i sostenitori perdente) ma anche un’offesa alla memoria storica di questo paese e a quanti hanno sofferto duramente per causa degli anni di piombo.

La lotta No Tav “deve” essere estirpata perché rappresenta un pessimo esempio per altre realtà (vedi per esempio i No Muos); per tutti i casi in cui i cittadini si riappropriano della propria identità civile e si armano di passione democratica per contrastare interessi economici che vorrebbero renderli succubi.
La stessa definizione di NIMBY (Not in my backyrd: non nel mio giardino) appioppata a chi contesta è lo strumento psicologico con cui denigrare chi si oppone, deviando l’attenzione dal dibattito e dall’oggetto della contestazione nel campo generico ed improprio della psicologia screditando il “ribelle” come uno che contesta “a prescindere” da fatti razionali.

La prossima volta che ascoltate qualcuno condannare la violenza domandatevi se è consapevole di tutto questo e quali finalità persegue.

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